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Si scrive “frattura della vertebra L1 e schiacciamento delle vertebre D11 e D12”, si legge “dimenticati la corsa”: ecco cosa succede quando un 91enne investe te e la tua bicicletta su una strada lunga e diritta della pianura padana. Gli ortopedici, dopo averti rimessa letteralmente in piedi, ti consigliano di nuotare e a domanda “quando potrò tornare a correre?” rispondono con una versione edulcorata di: la corsa te la puoi scordare.

Eppure, a 1 anno e 8 mesi dall’incidente, corro 3 volte a settimana per 30 minuti al giorno. Più un’uscita domenicale con le FiveFingers. Miracolata? No, visto che non ho ancora avuto la fortuna di passare un giorno senza mal di schiena. Ma ci sono mal di schiena e mal di schiena. E quelli che mi accompagnano quotidianamente non hanno nulla a che vedere con la corsa.

Ma torniamo al come-è-possibile. La risposta a questa domanda ha bisogno di due premesse:

  1. Sono tornata a correre contro il parere medico;
  2. Non sono un medico e non garantisco che la mia ‘tecnica’ funzioni con altre persone e altri tipi di infortuni.

Quindi: come si torna a correre dopo una frattura vertebrale e quando entrambe le ginocchia sono state consumate a forza di uscite su strada? La risposta è: re-imparando a correre. Per quanto ne so, ci sono due modi di correre: atterrando sul tallone oppure, come fanno gli agonisti, sull’avampiede. Chi cade sul tallone avrà una vita da runner breve e dolorosa. Chi, invece, atterra sull’avampiede, avrà una lunga, leggera ed elegante (come dimostra questo video) vita da podista.

È così semplice? Sì. Come faccio a saperlo? L’ho sperimentato. Qualche mese fa sono tornata a correre con un paio di Mizuno Wave Ultima 3. Funzionavano ma, dopo circa 15 minuti, la schiena e le ginocchia avvertivano i primi colpi. Sul punto di rassegnarmi, ho letto su Internazionale un articolo che parlava di un nuovo/vecchio modo di correre. Non avevo nulla da perdere e un abbonamento in palestra da usare. Ho provato. Ha funzionato.

Il nuovo/vecchio metodo, come ha già spiegato Martino, consiste nell’imparare ad atterrare sull’avampiede e non sul tallone. Per costringermi a farlo, ho alternato sul tapis-roulant un minuto di corsa tradizionale e un minuto di corsa ‘nuova’, aumentando di giorno in giorno i minuti di corsa nuova, fino a quando il piede si è abituato, assieme ai polpacci, finalmente impegnati a tempo pieno nel lavoro che gli spetta: ammortizzare, ammortizzare, ammortizzare.

Nel giro di un mese sono arrivata a correre 30 minuti con il nuovo metodo e le vecchie scarpe. Alla fine di ogni sessione i polpacci erano l’unica parte del mio corpo (giustamente) dolorante. La schiena, mantenuta naturalmente in posizione corretta, non si sovraccaricava; le ginocchia, protette dal lavoro intenso dei polpacci, non si sono mai infiammate.

Cosa c’entrano le FiveFingers e il barefoot running? Le FF sono scarpe studiate per assecondare il più fedelmente possibile la conformazione del nostro piede. NON ammortizzano, anzi, sono una semplice guaina protettiva che permette al piede di correre come fosse scalzo. Sì ma, allora, cosa fanno? Niente. Non correggono perché il nostro piede è naturalmente progettato per correre molto più a lungo di quanto non faccia normalmente. Aiutano, invece, a riscoprire uno stile di corsa molto più naturale (quasi a piedi scalzi, appunto) e, per me, hanno rappresentato anche la prova del nove: riuscire a correre senza dolori alla schiena con le FiveFingers sarebbe stata la dimostrazione concreta che il barefoot running non è l’ennesima moda importata dagli Stati Uniti.

Ad oggi, sono uscita tre volte con le FiveFingers. Proprio per l’assenza di ammortizzazione, vanno usate con moderazione e solo dopo aver imparato ad atterrare sull’avampiede. Esagerare rischia di compromettere dita dei piedi, caviglie, ginocchia e schiena. Non esagerare e procedere con moderazione, invece, regala un’esperienza di corsa quasi rivoluzionaria, di certo non pesante come si potrebbe pensare all’idea di correre a piedi (quasi) scalzi.

Le FiveFingers abbinate al semi-barefoot running stanno rafforzando i miei polpacci, rendendo le mie falcate più eleganti e il passo naturalmente più veloce.

E la schiena?
Non è mai stata meglio. Non dal giorno in cui un 91enne ha provato a portarmi via la corsa per sempre senza, però, riuscirci.

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